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Americhe

Route 66, dalle città fantasma alle colline di Hollywood

Siamo due professori in giro per il mondo. La passione per i viaggi ci porta, ogni anno, a salire su un aereo e andare alla ricerca di emozioni e panorami nuovi. In questo articolo vi raccontiamo la nostra seconda parte del nostro viaggio negli Stati Uniti, cominciato nel Nevada sulle tracce dei pionieri e proseguito verso Ovest con destinazione finale Los Angeles e le sue spiagge sull’oceano.

La Route 66

Dal 1985 non esiste più e non è nemmeno più possibile percorrerla tutta. Già dopo la seconda guerra mondiale era ormai sorpassata, sostituita dalla nascente rete autostradale voluta dal presidente Eisenhower.

Ma per tanti anni è stata la strada di chi rincorreva il futuro, di chi emigrava verso Est e la California, la terra promessa per gli americani, scappando dalla miseria della Grande Depressione. John Steinbeck , in “Furore” la chiamava “The Mother Road”.

Noi abbiamo ne attraversato solo alcuni dei pezzi ancora percorribili, ma il racconto del nostro viaggio lungo la mitica “madre di tutte le strade”, che prosegue quello iniziato nello Utah,  comincia qualche chilometro più su, al confine con l’Arizona, dall’immensità della Monument Valley.

La Monument Valley

Ci si arriva attraversando lunghi tratti in mezzo al deserto. Noi provenivamo da Sud, altrimenti avremmo passato anche il “Forrest Gump point”, ovvero il punto esatto dove è stata girata la scena della fine della corsa di Forrest Gump attraverso tutti gli Stati Uniti, quando si ferma e dice “Sono un po’ stanchino!

È un parco naturale all’interno della Riserva dei Navajo, a metà tra Arizona e Utah. Una vallata immensa e silenziosa che ti riempie gli occhi. Vedi la grandezza del creato, anche se qui la vegetazione è praticamente inesistente. 

Sembra la superficie di un altro pianeta. Forse uno dei posti più belli e iconici del mondo. La prima cosa che noti è il colore rosso e fa contrasto con il cielo azzurro intenso. 

Entri con la macchina e segui il percorso con la piantina che ti forniscono all’ingresso e dove sono segnalati anche i punti panoramici per fermarsi a scattare una foto.

Qui sono stati girati moltissimi film, tant’è che al suo interno si trova anche il John Ford point che commemora tutti i suoi capolavori, come Ombre Rosse o Il Massacro di Fort Apache,  girati in questi deserti. 

Una curiosità : qui ogni giorno vi aspetta, con pazienza secolare e il tipico fiuto degli affari che ha reso famosi i nativi americani, un navajo con il suo cavallo, che per 5 dollari (e mancia molto gradita) vi farà scattare una delle foto più incredibili della vostra vita.

Il Grand Canyon

Il viaggio è proseguito alla scoperta del canyon più famoso del mondo. I nativi americani lo chiamavano “Kaibab”, la montagna a testa in giù, e addirittura ci vive una tribù, quella degli Havasupai, nel Supai Village, raggiungibile solo in elicottero o a piedi.

Che dire, si potrebbe dedicare un blog intero solo a questo posto del mondo la cui fama è assolutamente meritata. E’ vero, si tratta di una delle tappe più gettonate, per così dire, degli Stati Uniti ed in qualunque stagione dell’anno si visiti state pur certi che troverete carovane di turisti, ma per assurdo non è mai così affollato; basta allontanarsi di qualche metro dai parcheggi dei pullman o dai punti panoramici per ritrovarsi da soli e perdersi nell’immensità della Natura. Così è stato anche per me. Una sensazione che fino ad allora avevo provato solo sulle scogliere di Moher in Irlanda.  

Cammini sulle creste di roccia e davanti a te si apre questa vallata gigantesca scavata dal Colorado. E’ un deserto sì, ma una volta lì scoprirete quanto sia vivo, con scoiattoli, aquile, cervi e tanti altri animali che vi attraverseranno la strada più spesso di quanto possiate immaginare.

I più temerari possono visitarlo a piedi, scendendo luongo i sentieri scavati dagli indiani secoli fa, i “trail”, dove è sconsigliato avventurarsi da soli e dove fareste bene a portare scorte di acqua e cibo per almeno un paio di giorni. Il più famoso è il Bright Angel Trail.

La città delle auto dimenticate

Seligman

Dal Grand Canyon siamo scesi giù per percorrere l’ultimo pezzo di Route 66 che dai deserti dell’Arizona conduce fino a Los Angeles. E qui è iniziato un salto nel tempo che per un paio di giorni, come in un film, ci ha catapultati tra primi del ‘900 e gli anni ’50. Prima tappa del nostro viaggio tra le ghost town, le città fantasma della strada più famosa del mondo, è stata la piccolissima Seligman, la cittadina che ha ispirato il film Cars.

La storia di Seligman è un po’ la stessa di tutte le piccole cittadine che troverete lungo questo tratto di Route 66. Fino a qualche anno fa erano dei centri di sosta dove fermarsi a fare rifornimento e mangiare qualcosa, e per questo tappa prediletta di amanti delle due o quattro ruote. Ma dopo la costruzione dell’autostrada che scorre più a Sud, la Highway 40, la gran parte del traffico automobilistico è stato deviato laggiù e questi piccoli centri hanno perso la loro importanza. Esattamente come nel film “Cars”.

Sono posti belli ma malinconici, che vale la pena visitare prima che spariscano del tutto, perché in fondo sono un pezzo di memoria della storia degli Stati Uniti. Così come le “Ghost Town”.

Le Ghost Town

Tra  Nevada, Arizona e California una delle cose più belle che si possa fare e andare alla scoperta delle “città fantasma”, delle cittadine che sembrano state costruite apposta come set per girare qualche film western ma che invece sono autentiche città dove il tempo si è fermato a quello dei pistoleri, cowboy e sceriffi col cinturone.

Sperdute in posti impensabili e difficili da raggiungere senza una guida, sono le cittadine dove si insediarono i primi coloni. In quasi tutte c’è una miniera, un giacimento d’argento, a volte anche d’oro. Oggi praticamente disabitate ma sono divenute un’attrazione turistica irrinunciabile e hanno mantenuto un fascino autentico : niente qui è artefatto, quasi tutto è originale. 

Oatman

Oatman si trova sulla Route 66, vicina a Las Vegas, ma per arrivarci si percorre un pezzo di strada molto stretta, dove passa un’auto alla volta, attraverso un deserto roccioso, popolato soltanto dai Joshua Tree, gli alberi di yucca simbolo di questi territori. Mentre percorrevamo questa strada c’è passato davanti un coyote magro e spelacchiato, esattamente come quello del famoso cartone animato.

Oatman è proprio come ci si immagina le città del West dei film, con gli edifici classici, dal barbiere alla drogheria, dall’ufficio postale al saloon, che hanno mantenuto l’aspetto di un tempo.

Nella strada che attraversa la città passeggiano i muli, discendenti di quelli usati nelle miniere più di un secolo fa.

Calico

Calico Town è forse la più bella delle ghost town visitate, a metà strada tra la Death Valley e il deserto del Mojave, per intenderci tra Las Vegas e Los Angeles, in uno dei punti più caldi della terra, in un deserto completamente piatto. 

Un gioiello. Una delle cose più belle viste negli Stati Uniti. 

È rimasto tutto come allora. L’emporio, la scuola, il barber shop, gli attrezzi agricoli, la miniera, persino il carro funebre. Visitandola ti rimane l’idea delle condizioni estreme dell’epoca e di come doveva essere la vita dei pionieri in un posto così aspro e isolato.

Los Angeles

Dopo le ghost town siamo andati a Los Angeles. A me è piaciuta tantissimo perché è molto iconica : l’hai vista talmente tante volte in film e serie tv che ti sembra di esserci già stato.

Il clima è molto gradevole, il traffico è da impazzire. Noi siamo rimasti colpiti, in particolare, dalle strade e dai viali con queste bellissime palme, che trovi ovunque, un vero simbolo della città, piantate qui dai missionari spagnoli nel ‘700.

Carini anche i dintorni di Los Angeles, soprattutto i piccoli villaggi con le ville degli attori. Posti poco conosciuti, raramente i turisti li vanno a visitare, invece ci sono calette riparate, ville bellissime, tutto in tema surf.

Bellissima anche le di Venice Beach o il molo di Santa Monica Pear, il punto esatto in cui finisce la Route 66, dopo un percorso di quasi 4.000 chilometri attraverso otto stati. Anche la spiaggia è molto bella, e detto da una sarda… è tutto dire.

Altre cose che ci sono particolarmente piaciute sono state la parte delle ville, Belair e Beverly Hills, davvero pazzesca : lusso sfrenato ma non pacchiano, in una zona verdissima con ville circondate dai parchi, e gli Universal Studios, in particolare il giro dei set e la parte dei giochi, soprattutto il Castello di Harry Potter, che abbiamo fatto e rifatto più volte.

Il Griffith Observatory

Ma più di tutto ci è rimasto negli occhi e nel cuore il Griffith Observatory, da cui si vede la famosa scritta Hollywood, con un panorama mozzafiato sulla città : se ci vai la sera, il tramonto sul Pacifico è uno spettacolo magnifico, con il sole che scende sull’Oceano.

Si trova all’interno di un parco molto frequentato e amato dagli abitanti. Il museo ha degli affreschi moderni molto belli e si visita gratuitamente. Ci sono sismografi, una sala che ricrea in scala il sistema solare e la riproduzione della Macchina di Tesla, che riproduce i fulmini. In generale è molto interattivo, così come tutti i musei americani che qui sono concepiti come posti dove vai a divertirti, non solo a “vedere cose”. 

Ma soprattutto questo posto a noi due è molto caro perché qui hanno girato una scena di uno dei nostri film preferiti : La La Land!

Quando attraversi queste immensità, nella tua testa risuonano le musiche dei film, le canzoni del rock anni ’70 che raccontano di strada e libertà, quasi fossero il suono naturale di questo angolo di mondo.

Qualcuno una volta ha detto che questo è il viaggio della vita. E in effetti lo è. Sono dei posti che fanno parte della cultura moderna, ma una volta che sei lì e ti trovi davanti a questi spazi sconfinati, il vedere come hanno vissuto i pionieri o i nativi americani, il contatto con il deserto, tutto questo è qualcosa che ti rimane dentro per sempre.

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